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lunedì 10 agosto 2015

Tiziano, Il martirio di San Lorenzo

Tiziano, Martirio di San Lorenzo.
Oggi è una delle giornate più attese dell'estate: è quella in cui si celebrerà la notte di San Lorenzo, in cui ognuno di noi avrà la testa insù con la speranza di riuscire a vedere le stelle cadenti. La tradizione popolare le chiama “lacrime di San Lorenzo”, come quelle versate dal Santo durante il suo supplizio, che vagano eternamente nel cielo per ricadere sulla Terra solo il giorno della sua morte, il 10 agosto.
Lorenzo era originario della Spagna e, completati i suoi studi teologici a Saragozza, si trasferì a Roma. Quando fu eletto papa Sisto II, suo maestro e amico fin dai tempi a Saragozza, venne nominato arcidiacono, cioè responsabile delle offerte fatte alla Chiesa. Nell'agosto del 258 l'imperatore Valeriano emise un editto secondo il quale tutti i vescovi, i presbiteri e i diaconi dovevano essere messi a morte. L'editto fu prontamente eseguito: papa Sisto fu ucciso il 6 agosto, Lorenzo il 10. Secondo quanto descritto da Sant'Ambrogio nel De Officis Ministrorum, fu bruciato con graticola messa sul fuoco ardente. 
Il martirio di San Lorenzo è un tema pittorico con il quale si sono confrontati numerosi artisti, tra i quali Tiziano, Tintoretto e Pietro da Cortona. In questo articolo vorrei parlarvi proprio di come Tiziano ha affrontato questo episodio della storia della cristianità, realizzando un capolavoro dagli struggenti toni drammatico-teatrali.

Tiziano inizia a dipingere la tela intorno al 1547, ma la porta a compimento solo nel 1559. L'opera fu quasi con certezza commissionata da Lorenzo Massolo, ma fu la moglie, Elisabetta Querini, donna bellissima e raffinata, ad avere un ruolo chiave nella genesi del dipinto. Infatti Elisabetta diventa l'oggetto di un amore platonico da parte del letterato Pietro Bembo, amico del pittore e probabile tramite tra questi e la committenza. I due coniugi hanno un figlio, Pietro Paolo, che si sposa giovanissimo con una patrizia veneziana, Chiara Tiepolo. Dopo pochi mesi di matrimonio, tuttavia, il ragazzo uccide brutalmente la consorte. Condannato a una morte atroce (sarebbe dovuto essere scorticato vivo secondo le leggi dell'epoca), il giovane rampollo scappa, nascondendosi in un monastero. Qui si fa frate, prendendo il nome di Lorenzo. E il soggetto del quadro potrebbe essere ispirato proprio a questa storia. La pala d'altare fu collocata nella Chiesa di Santa Maria Assunta a Venezia (detta I Gesuiti), dove è conservata tuttora, nonostante la chiesa, nel passaggio dai Crociferi ai Gesuiti, venga completamente ricostruita, tra il 1715 e il 1735, in esuberanti e festose forme barocche, che mal s'intonano con la materia carbonizzata della tela.

Chiesa dei Gesuiti, Venezia. Collocata inizialmente nel secondo altare a destra della chiesa dei Crociferi, in seguito alla ricostruzione della chiesa, la pala fu posta sull'altare della prima cappella a sinistra dedicata a San Lorenzo, dove è conservata tuttora.

Con un ardito esperimento luministico-teatrale, Tiziano fa calare le tenebre della notte sul luogo del martirio, intorno al quale emergono fioche ma torreggianti architetture. Il tempio corinzio sulla destra, reminiscenza del viaggio a Roma del 1545-1546, evoca il prospetto del tempio di Adriano in Piazza Pietra o quello del tempio di Antonino e Faustina nel Foro, due reperti studiati spesso anche dagli architetti del Rinascimento. Sulla sinistra notiamo invece la presenza di una statua, raffigurante una divinità pagana velata, forse la dea Vesta, collocata su un alto piedistallo rigonfio, qualificato da rilievi che raffigurano mascheroni infernali. Al centro della composizione il pittore veneziano colloca il possente corpo del santo adagiato sulla graticola in attesa del martirio. La posa di Lorenzo è una citazione di una statua ellenistica rappresentante un Galata morente, che l'artista aveva ammirato nelle collezioni veneziane del cardinale Domenico Grimani. Attorno al martire troviamo la folta schiera degli aguzzini - chi porta la legna, chi accende la fiamma, chi regge una torcia – che genera un vorticoso movimento, accentuato dal riverbero dell'acciaio delle corazze e dallo presenza dello stendardo. Ma il vero protagonista della scena è il fuoco, terreno e divino, che arde, divampa e genera un vortice di luce e ombra, presagio del cromatismo materico che caratterizzerà l'opera di Tiziano nell'ultimo periodo della sua vita.

Tiziano, Martirio di San Lorenzo, particolare del corpo del santo.

lunedì 13 luglio 2015

Le barbarie della guerra: Otto Dix

La guerra è un tema figurativo presente nell'arte di ogni tempo e luogo. Di volta in volta gli artisti hanno celebrato le glorie dei campi di battaglia o documentato il dolore e l'angoscia causato dalle vicende belliche. Uno degli artisti che meglio è riuscito a descrivere le atrocità dei campi di battaglia è il tedesco Otto Dix.

Otto Dix nasce nel 1892 presso Gera, Turingia, da una famiglia proletaria. Nel 1909 si iscrive alla Scuola di Arti Figurative a Dresda, dove si specializza come ritrattista. Durante la sua formazione ha la possibilità di visitare numerose gallerie e mostre di pittura, che contribuiscono alla sua crescita di artista. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Dix, interventista convinto, si arruola come volontario nell'esercito tedesco. Combatte, in qualità di sottufficiale, sia sul fronte Occidentale che su quello Orientale, venendo ferito e decorato più volte. Le esperienze sul fronte traumatizzano Otto, lasciando tracce indelebili sulla sua vita. Dopo quanto vissuto e affrontato in quegli anni, si professa pacifista e dedica gran parte della sua opera al racconto della guerra e delle sue devastanti conseguenze.

Otto Dix, La guerra durante un attacco di gas. Il gas incupisce l'atmosfera di questa scena. La distorsione fisica delle maschere indossate dai soldati infondono un senso di terrore.

Di forte impatto è la raccolta di acqueforti del 1924 intitolata Der Krieg (La Guerra), conservate oggi nella Collezione Ronny e Jessy Van de Velde ad Anversa. Der Krieg mostra, in cinquanta sconvolgenti immagini, la macabra visione dell'Apocalisse che sconvolse l'Europa un secolo fa: la trincea, i morti, i feriti, i paesaggi devastati dalle bombe. 
La tecnica utilizzata è quella dell'acquaforte. In questo modo Dix riesce a conferire alle sue scene una feroce espressività, suscitando in chi le guarda un senso di orrore misto a ribrezzo. L'agghiacciante bianco delle ossa degli scheletri, ottenuto con ripetuti bagni acidi, rimarca l'inumanità e l'efferatezza di un conflitto che è riuscito a portare solo lutti e distruzione.

Otto Dix, Suicidio in trincea 
Otto Dix, Teschio

























I titoli dei disegni fanno spesso riferimento a luoghi e date precise. Questo può portare a credere che Dix tenesse un diario di guerra e la sua raccolta sia una cronaca esatta della sua esperienza nell'esercito. Tuttavia l'artista tedesco si basò solo sui suoi ricordi e su fotografie, molte delle quali erano state oggetto di censura durante la guerra. Realizzare queste stampe fu per lui come una sorta di esorcismo contro quegli atroci avvenimenti che continuavano a perseguitarlo nel mondo dei sogni. 

Otto Dix, Il pasto in trincea. Un soldato consuma velocemente il suo pasto nella trincea. A fargli compagnia, in questo paesaggio desolato, c'è solo uno scheletro intrappolato nel ghiaccio.
 
Otto Dix, Trincee crollate. Nonostante tutte le sue scomodità, la trincea veniva considerata dai soldati come la propria casa. In questo caso il nemico è riuscito a distruggerne una parte e sono chiare le conseguenze dell'attacco: morte e devastazione. Sopra il soldato si trovano i resti di due vesti stracciate. Una assomiglia a una falce, l'altra a un avvoltoio.

È come se Dix abbia il bisogno di espellere questi suoi incubi, in modo da liberarsi dai fantasmi che gli danno la caccia. Prima di incidere le stampe, Otto realizza nel 1918 Graben (Trincea), un tela che può essere definita come il carnevale della morte. La prima cosa che colpisce è il movimento impresso ai corpi, alle braccia, alle gambe. Le curve e gli angoli pervadono l'intera scena, suggerendo l'idea del caos e della violenza del combattimento. I corpi sono quasi smembrati e i soldati non hanno più sembianze umane, ormai presi dall'impeto dello scontro. I volti, che rivelano la sofferenza di fronte alla morte, sono deformi anch'essi, come se piangessero per il dolore. Il viso in alto a sinistra sembra già indossare la maschera della morte, mentre quello in basso a destra urla sofferente. Ma è soprattutto il colore a donare al quadro il senso della violenza e dell'orrore. I colori freddi, il verde e il blu, fanno spiccare il rosso del sangue, attirando l'attenzione sulla sofferenza dei combattenti. E i tre colori dominanti rappresentano le tre entità con i quali ci si deve scontrare nella Prima Guerra Mondiale: la pioggia, il fango e il sangue. 

Otto Dix, Trincea, 1918.

La disperazione e i lutti prodotti dall'inferno bellico trovano la massima rappresentazione nel trittico Der Krieg (La Guerra), realizzato tra il 1929 e il 1932 e oggi esposto alla galleria di Dresda. Nelle tele del trittico i disastri della guerra vengono descritti in modo diretto e brutalmente realistico, mescolando elementi della tradizione gotica nordeuropea (Grünewald, Bruegel, Bosch) con soluzioni formali proprie dell'espressionismo e del surrealismo, senza alcun tentativo di attenuare l'atrocità della morte e delle distruzioni. Nei tre pannelli principali si rinnova la tipologia dei polittici medievali illustranti la Passione di Cristo: a sinistra l'avanzata di una truppa di soldati verso la morte, come nella salita al Calvario; nel compartimento centrale un desolante e livido scenario costellato da macerie e cadaveri putrescenti, un attacco in grado di scarnificare il corpo dell'uomo crocifisso in alto; a destra un milite che cerca dei sopravvissuti, in uno schema che ricorda le deposizione di Cristo dalla croce. Nella predella in basso, dove tradizionalmente figurava il simulacro di Cristo supino, compaiono una serie di salme.

Otto Dix, La Guerra, 1929-1932.






Otto Dix, La Guerra, pannello centrale

Nel 1933, con la presa del potere di Adolf Hitler, Dix viene considerato un artista degenerato, perde l'incarico di professore all'Accademia di Dresda e gli viene proibito di esporre le proprie opere, alcune delle quali verranno esibite nelle mostre naziste di arte degenerata e poi bruciate. Il pittore viene costretto a dedicarsi esclusivamente ai soggetti paesaggistici, evitando quelli sociali.
Vorrei concludere con una citazione dello storico dell'arte Giulio Carlo Argan che definiva Otto come "il descrittore lucido, spietato, quasi fotografico delle miserie, delle infamie, della macroscopica stupidità della guerra".

domenica 3 maggio 2015

Terrasse à Sainte-Adresse

Claude Monet - 1867
Olio su tela - 98,1 x 129,9
New York Metropolitan Museum of Art

Claude Monet, Terrasse à Sainte-Adresse.
Monet trascorse l'estate del 1867 nella località balneare di Sainte-Adresse, nei pressi di Le Havre (Francia). Fu qui, in una terrazza con vista sul mare, che dipinse il suo celebre “Terrasse à Sainte-Adresse". Nel 1868, in una lettera a Frédéric Bazille, suo amico pittore, definisce questa splendida tela come "un quadro cinese in cui ci sono delle bandiere".
L'espressione "cinese", che allora era usata come sinonimo di giapponese, ci fa capire che il reale intento dell'artista è quello di dipingere una scena alla maniera orientale. La composizione presenta evidenti somiglianze con "Il padiglione di Sazai del tempio dei cinquecento Rakan", un'incisione su legno, di cui Monet possedeva una copia, di Katsushika Hokusai. La stampa, oggi conservata al museo di Giverny, ritrae un gruppo di donne nell'atto di guardare in lontananza da una terrazza.
L'opera, per l'epoca, è veramente straordinaria, in quanto utilizza una veduta dall'alto, priva di un unico punto di fuga. Tanti piccoli tocchi di colore puro, dai toni brillanti, esaltano la luminosità della scena. L'ampia superficie del mare è punteggiata da numerose barche di diversa grandezza e la striscia di cielo è in parte serena e in parte nuvolosa; mare e cielo si spartiscono la composizione con la terrazza, vivacizzata dalla presenza dei gladioli e dei nasturzi. Le figure rappresentate sono il dottor Alphonse Lecadre e sua figlia Jeanne-Marguerite. L'uomo seduto sembra essere il padre del pittore, ma l'identità dei personaggi non è troppo importante.
La vera protagonista è l'atmosfera intrisa di luce e animata da una leggera brezza che muove le bandiere, senza turbare la quiete del momento.

Katsushika Hokusai, Il padiglione di Sazai del tempio dei cinquecento Rakan.

Claude Monet, Terrasse à Saint Adresse, La famiglia Lecadre.
Claude Monet, Terrasse à Sainte-Adresse, Dettaglio della bandiera francese.

domenica 26 aprile 2015

Bain à la Grenouillère

Claude Monet -1869
Olio su tela - 74.6 x 99.7 cm
New York Metropolitan Museum of Art

Claude Monet, Bain à la Grenouillère.
A Bougival, un villaggio posto in riva alla Senna, la maggior attrattiva naturalistica era costituita dall'isolotto di Croissy, situato nel mezzo del fiume e collegato alla terraferma attraverso un pontile. Il complesso, che comprendeva uno stabilimento balneare e un ristorante, era uno dei luoghi preferiti dai parigini per passarvi le giornate festive durante l'estate. Tale posto era chiamato La Grenouillère (stagno delle rane) per la presenza di donne di facili costumi che rallegravano i visitatori parigini ed erano popolarmente soprannominate "Grenouilles" (rane).
Renoir e Monet si recano insieme nel 1869 e dipingono, ciascuno secondo la propria personalità, la scena contemporaneamente. I due artisti riescono, nelle loro tele, a immortalare l'atmosfera del luogo, catturando il vociare e il movimento delle persone sulla piattaforma, il frusciare degli abiti, il baluginare di un riflesso sull'acqua.
Monet si concentra sul paesaggio. Ad attrarre il suo occhio è soprattutto l'acqua, riprodotta sulla tela con un'immediatezza sorprendente, mediante brevi pennellate sovrapposte, che osservate dalla distanza, restituiscono il pigro incresparsi di quel tranquillo braccio di Senna.
Con pochi tocchi di colore il pittore francese riesce a cogliere l'attimo del momento, tracciando la strada per le opere impressioniste più mature.