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lunedì 13 luglio 2015

Le barbarie della guerra: Otto Dix

La guerra è un tema figurativo presente nell'arte di ogni tempo e luogo. Di volta in volta gli artisti hanno celebrato le glorie dei campi di battaglia o documentato il dolore e l'angoscia causato dalle vicende belliche. Uno degli artisti che meglio è riuscito a descrivere le atrocità dei campi di battaglia è il tedesco Otto Dix.

Otto Dix nasce nel 1892 presso Gera, Turingia, da una famiglia proletaria. Nel 1909 si iscrive alla Scuola di Arti Figurative a Dresda, dove si specializza come ritrattista. Durante la sua formazione ha la possibilità di visitare numerose gallerie e mostre di pittura, che contribuiscono alla sua crescita di artista. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Dix, interventista convinto, si arruola come volontario nell'esercito tedesco. Combatte, in qualità di sottufficiale, sia sul fronte Occidentale che su quello Orientale, venendo ferito e decorato più volte. Le esperienze sul fronte traumatizzano Otto, lasciando tracce indelebili sulla sua vita. Dopo quanto vissuto e affrontato in quegli anni, si professa pacifista e dedica gran parte della sua opera al racconto della guerra e delle sue devastanti conseguenze.

Otto Dix, La guerra durante un attacco di gas. Il gas incupisce l'atmosfera di questa scena. La distorsione fisica delle maschere indossate dai soldati infondono un senso di terrore.

Di forte impatto è la raccolta di acqueforti del 1924 intitolata Der Krieg (La Guerra), conservate oggi nella Collezione Ronny e Jessy Van de Velde ad Anversa. Der Krieg mostra, in cinquanta sconvolgenti immagini, la macabra visione dell'Apocalisse che sconvolse l'Europa un secolo fa: la trincea, i morti, i feriti, i paesaggi devastati dalle bombe. 
La tecnica utilizzata è quella dell'acquaforte. In questo modo Dix riesce a conferire alle sue scene una feroce espressività, suscitando in chi le guarda un senso di orrore misto a ribrezzo. L'agghiacciante bianco delle ossa degli scheletri, ottenuto con ripetuti bagni acidi, rimarca l'inumanità e l'efferatezza di un conflitto che è riuscito a portare solo lutti e distruzione.

Otto Dix, Suicidio in trincea 
Otto Dix, Teschio

























I titoli dei disegni fanno spesso riferimento a luoghi e date precise. Questo può portare a credere che Dix tenesse un diario di guerra e la sua raccolta sia una cronaca esatta della sua esperienza nell'esercito. Tuttavia l'artista tedesco si basò solo sui suoi ricordi e su fotografie, molte delle quali erano state oggetto di censura durante la guerra. Realizzare queste stampe fu per lui come una sorta di esorcismo contro quegli atroci avvenimenti che continuavano a perseguitarlo nel mondo dei sogni. 

Otto Dix, Il pasto in trincea. Un soldato consuma velocemente il suo pasto nella trincea. A fargli compagnia, in questo paesaggio desolato, c'è solo uno scheletro intrappolato nel ghiaccio.
 
Otto Dix, Trincee crollate. Nonostante tutte le sue scomodità, la trincea veniva considerata dai soldati come la propria casa. In questo caso il nemico è riuscito a distruggerne una parte e sono chiare le conseguenze dell'attacco: morte e devastazione. Sopra il soldato si trovano i resti di due vesti stracciate. Una assomiglia a una falce, l'altra a un avvoltoio.

È come se Dix abbia il bisogno di espellere questi suoi incubi, in modo da liberarsi dai fantasmi che gli danno la caccia. Prima di incidere le stampe, Otto realizza nel 1918 Graben (Trincea), un tela che può essere definita come il carnevale della morte. La prima cosa che colpisce è il movimento impresso ai corpi, alle braccia, alle gambe. Le curve e gli angoli pervadono l'intera scena, suggerendo l'idea del caos e della violenza del combattimento. I corpi sono quasi smembrati e i soldati non hanno più sembianze umane, ormai presi dall'impeto dello scontro. I volti, che rivelano la sofferenza di fronte alla morte, sono deformi anch'essi, come se piangessero per il dolore. Il viso in alto a sinistra sembra già indossare la maschera della morte, mentre quello in basso a destra urla sofferente. Ma è soprattutto il colore a donare al quadro il senso della violenza e dell'orrore. I colori freddi, il verde e il blu, fanno spiccare il rosso del sangue, attirando l'attenzione sulla sofferenza dei combattenti. E i tre colori dominanti rappresentano le tre entità con i quali ci si deve scontrare nella Prima Guerra Mondiale: la pioggia, il fango e il sangue. 

Otto Dix, Trincea, 1918.

La disperazione e i lutti prodotti dall'inferno bellico trovano la massima rappresentazione nel trittico Der Krieg (La Guerra), realizzato tra il 1929 e il 1932 e oggi esposto alla galleria di Dresda. Nelle tele del trittico i disastri della guerra vengono descritti in modo diretto e brutalmente realistico, mescolando elementi della tradizione gotica nordeuropea (Grünewald, Bruegel, Bosch) con soluzioni formali proprie dell'espressionismo e del surrealismo, senza alcun tentativo di attenuare l'atrocità della morte e delle distruzioni. Nei tre pannelli principali si rinnova la tipologia dei polittici medievali illustranti la Passione di Cristo: a sinistra l'avanzata di una truppa di soldati verso la morte, come nella salita al Calvario; nel compartimento centrale un desolante e livido scenario costellato da macerie e cadaveri putrescenti, un attacco in grado di scarnificare il corpo dell'uomo crocifisso in alto; a destra un milite che cerca dei sopravvissuti, in uno schema che ricorda le deposizione di Cristo dalla croce. Nella predella in basso, dove tradizionalmente figurava il simulacro di Cristo supino, compaiono una serie di salme.

Otto Dix, La Guerra, 1929-1932.






Otto Dix, La Guerra, pannello centrale

Nel 1933, con la presa del potere di Adolf Hitler, Dix viene considerato un artista degenerato, perde l'incarico di professore all'Accademia di Dresda e gli viene proibito di esporre le proprie opere, alcune delle quali verranno esibite nelle mostre naziste di arte degenerata e poi bruciate. Il pittore viene costretto a dedicarsi esclusivamente ai soggetti paesaggistici, evitando quelli sociali.
Vorrei concludere con una citazione dello storico dell'arte Giulio Carlo Argan che definiva Otto come "il descrittore lucido, spietato, quasi fotografico delle miserie, delle infamie, della macroscopica stupidità della guerra".

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